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La Costruzione Occidentale della Figura dello Sciamano

Inviato: mar mag 09, 2017 6:03 pm
da Benway
La costruzione occidentale della figura dello sciamano
( tratto da: GERARDO REICHEL-DOLMATOFF: SCIAMANISMO TUKANO E TUTELA DEGLI ECOSISTEMI FORESTALI )
- nota: il testo completo è facilmente scraicabile in pdf con una veloce ricerca sul web.

L’attuale turismo dell’ayahuasca fa parte di un fenomeno più ampio, definibile come “turismo sciamanico”. Questo tipo di turismo rispecchia l’idea di sciamanismo che gli occidentali si sono costruiti negli ultimi due secoli. A sua volta, l’approccio occidentale allo sciamanismo deriva da un mito ben più datato: quello del “buon selvaggio” e del “cattivo selvaggio".

Eugenia Fotiou, nell’articolo “The globalization of Ayahuasca Shamanism and the Erasure of Indigenous Shamanism (212) ”, cita Dagmar Wernitznig. Quest’ultimo identifica due tradizioni storico-culturali alla base del mito del buon e cattivo selvaggio: quella giudeo-cristiana e quella classica(213). La tradizione giudeo-cristiana si sarebbe focalizzata sugli aspetti bestiali e diabolici delle popolazioni “selvagge”, come quelle incontrate dai conquistadores nelle Americhe. Il pensiero classico vedrebbe invece nel selvaggio un esempio di idilliaca integrità morale. Le due rappresentazioni si contrappongono all’idea che l’Occidente si fa di sé e sono entrambe statiche e atemporali. Il selvaggio è quindi del tutto stereotipizzato, astratto dal suo contesto spazio-temporale.
Fotiou riporta le tre correnti storico-culturali che Roberte Hamayon rintraccia nell’approccio occidentale allo sciamanismo(214). La prima corrente è quella della “demonizzazione”: essa si attesterebbe tra il XVII e il XVIII secolo. I fautori di questa linea di pensiero sarebbero stati, inizialmente, i cronisti cristiani delle Americhe, che avrebbero definito gli sciamani come “ministri del demonio”.
Successivamente questa idea sarebbe stata ripresa dagli illuministi, che avrebbero identificato gli sciamani come “impostori” e “ciarlatani”. La seconda corrente è quella della “medicalizzazione” e sarebbe legata al colonialismo del XIX secolo. Essa si concentrerebbe sugli aspetti psicopatologici del comportamento degli sciamani. Lo sciamano sarebbe presentato come un individuo dai comportamenti psicopatologici, affetto da disturbi come la schizofrenia. Questi comportamenti anormali, nella sua cultura d’origine, verrebbero valorizzati così da evitare una sua marginalizzazione sociale. La terza corrente è quella “dell’idealizzazione”: essa risalirebbe al Romanticismo europeo e al Trascendentalismo americano. Personaggi come Emerson e Thoreau, operando sulla dicotomia tra natura e cultura, avrebbero fatto emergere il sentimento nostalgico verso un modo di vivere “primitivo” rintracciabile tra le popolazioni “selvagge”. Da questi sentimenti anti-modernisti si sarebbe originata l’idea di sciamanismo come religione arcaica, rappresentativa di una genuina filosofia naturale. Questa filosofia di vita romperebbe con il mondo tecnocratico di oggi.

Va notato come queste (teoriche) correnti di pensiero identifichino lo sciamanismo come un’entità uniforme e atemporale, senza tenere in considerazione differenze regionali e storiche. Questa linea di pensiero non può che portare a fuorvianti generalizzazioni. Il fenomeno sciamanico, come ogni altro fenomeno sociale, è infatti multiforme e frammentato; va quindi analizzato tenendo conto delle differenze regionali e storiche che lo contraddistinguono, riportandolo al contesto sociale di provenienza(215).
Il fatto che, nel pensiero comune di oggi, ci si riferisca allo sciamanismo come a un’entità compatta, riflette l’essenza artificiosa di questo termine. Così come riporta Fotiou, riprendendo Michael Taussig, lo sciamanismo è un costrutto occidentale, formulato dagli accademici così come dai giornalisti e dal folklore(216). Se gli antropologi, a partire dal Novecento, si sono concentrati sui contesti locali dello sciamanismo, il folklore ha proseguito nell’elaborazione di uno sciamanismo slegato da qualsiasi contesto culturale specifico(217).

Concentriamoci sulle generalizzazioni operate dal folklore. A partire dagli anni Sessanta si è verificato un incremento dell’attenzione globale verso lo sciamanismo. In quegli anni diverse controculture, come quella hippie, cercavano un’alternativa agli stili di vita moderni. Si sentiva la necessità di rompere con il mondo capitalistico, fuggire dalle città e fare ritorno ad un idilliaco “stato di natura”(218). Ciò che richiamò l’attenzione verso lo sciamanismo, in quegli anni, fu anche la diffusione di massa di alcuni allucinogeni, come l’LSD e la mescalina.
L’interesse verso gli stati alterati di coscienza crebbe velocemente: fu il cosiddetto “rinascimento psichedelico”. L’impiego di sostanze psicoattive a fini di esplorazione interiore si legò facilmente al bisogno di spiritualità e di ritorno allo “stato di natura”(219).
Come riporta Fotiou, riprendendo Andrei Znameski, in questo periodo apparvero i libri di Carlos Castaneda e di Mircea Eliade: essi contribuirono in modo significativo al processo di folklorizzazione dello sciamanismo. Nei loro testi questo tema è affrontato in modo fenomenologico, senza che venga ricondotto ad alcun sostrato sociale, storico, economico o neurologico. Lo sciamanismo è trattato come una forma arcaica di spiritualità, da cui possono essere tratte idee, simboli e metafore universalmente valide(220).
Fu così che la figura dello “sciamano” fu “ricostruita” sulla base delle necessità spirituali delle masse giovanili. Sperimentazione degli stati alterati di coscienza, bisogno di spiritualità e comunione con la natura: la figura dello sciamano andò a incarnare queste esigenze occidentali. L’approccio allo sciamanismo rimase sensazionalistico, come all’epoca della conquista delle Americhe(221).
La folklorizzazione della figura dello sciamano si è progressivamente spostata sul piano ecologico. A partire dagli anni Ottanta il “nobile selvaggio” fu identificato come un esempio di armonia interna (con il proprio sé) ed esterna (con il mondo naturale). I movimenti ambientalisti trovarono nella conoscenza indigena, di cui lo sciamano si faceva promotore, il rimedio potenziale per i problemi della
civilizzazione. Fu così che in questo periodo il neosciamanismo si legò indissolubilmente alla questione ecologica(222).
Fotiou precisa come alcuni antropologi abbiano contribuito all’elaborazione del neosciamanismo. A tal proposito cita Michael Harner, un antropologo che ha provato a elaborare uno sciamanismo slegato da qualsiasi substrato culturale. Questa forma di sciamanismo sarebbe appositamente studiata per essere impiantata in qualsiasi contesto culturale: uno scheletro attorno a cui ogni persona possa costruire la propria spiritualità(223).

Senza dubbio la stereotipizzazione a livello globale dello sciamanismo, ha modificato anche le sue caratteristiche a livello locale. Gli “autentici” sciamani dell’Amazzonia colombiana, per esempio, sono stati molto scaltri nel promuovere un’immagine di sé in accordo con le esigenze dei turisti occidentali. Così come i seguaci del new-age sono stati abili nell’appropriarsi delle tecniche sciamaniche, così gli sciamani veri e propri sono stati abili nell’appropriarsi dell’immagine che il mondo s’è fatto di loro(224).
Appare quindi davvero difficile tentare di definire cosa sia “autentico” sciamanismo e “falso” sciamanismo. E ancora più sterile appare una critica serrata degli accademici “particolaristi” verso il folklore “generalista”. È palese come il vecchio modo di fare ricerca sullo sciamanismo, basato sull’elaborazione di solide, quanto ermetiche, monografie, non risponda più alle esigenze attuali. È quindi giunto il momento di riflettere su questo fenomeno tenendo conto dei suoi molteplici aspetti, che lo rendono un’entità decisamente frammentata e dai confini poco chiari.

In questo elaborato finale è stata trattata l’analisi che Reichel-Dolmatoff fa dello sciamanismo Tukano. Si sarà notato come egli non esegua alcuna considerazione al di fuori del proprio ambito etnografico. Come risultato si ha una chiarezza e completezza d’analisi eccellente: il dubbio che sorge è se tale analisi corrisponda effettivamente alla realtà. Da Amazonian Cosmos del 1971 a The Forest Within del 1994 il mondo Tukano appare avvolto in una bolla di immutabilità. Jean Esther Langdon, una ricercatrice che ha operato nel Putumayo(225), fa invece emergere le modificazioni che dagli anni Sessanta a oggi hanno interessato lo sciamanismo Siona. Langdon condusse il proprio dottorato di ricerca nel 1970, tra i Siona del basso Putumayo, in Colombia. La ricercatrice giunse tra i Siona dopo aver condotto una ricerca sul campo tra i curanderi(226) dell’alta Valle del Sibundoy: questa esperienza la spinse a visitare la riserva di Buena Vista, posta nel basso corso del fiume Putumayo, luogo endemico della Banisteriopsis caapi. Ella si intrattenne per quattro anni tra i Siona e successivamente tornò quattro volte nella regione: nel 1980, 1985 e per due volte nel 1992(227). Langdon riuscì così a identificare tre periodi nella storia del moderno sciamanismo Siona: il periodo coloniale, durante il quale gli sciamani si erano trasformati in capi politici in grado di opporsi alla repressione culturale operata dagli Europei; la prima metà del Novecento, in cui lo sciamanismo Siona era pressoché scomparso a causa della sparizione degli stessi sciamani; e la seconda metà del Novecento, in cui lo sciamanismo è risorto e la figura dello sciamano e il rito dello yajé sono stati reincorporati nei processi politici.
Quando Langdon giunse tra i Siona, nel 1970, trovò una situazione in cui vi era “sciamanismo senza sciamani”, come lei stessa cita da Gilo Brunelli(228). La popolazione lamentava la sparizione degli sciamani, e con essi la comparsa di flagelli di ogni tipo, come cattivi raccolti e malattie. Molto del lavoro della ricercatrice fu quindi dedicato a raccogliere narrativa sciamanica dagli anziani, così da documentare l’antico ruolo degli sciamani e del rito dello yajé nella cosmologia e nella storia della comunità.
Fu così che emerse il ruolo che gli sciamani avevano avuto nel contrastare l’invasione, fisica e culturale, degli europei. Parte centrale di questa opposizione, in particolare per quanto riguarda l’indottrinamento francescano, era stata giocata dal rito dello yajé, essenziale per dare forza e continuità al sistema cosmologico indigeno(229).
Ciò che spinse al declino la popolazione Siona, e con essa le pratiche sciamaniche, fu lo sviluppo economico che il Putumayo conobbe dai primi decenni del Novecento. Il boom della gomma e, successivamente, la scoperta di pozzi di petrolio, fecero affluire nella regione enormi masse di coloni che portarono epidemie e causarono perdite territoriali ai Siona. I bambini indigeni furono obbligati a studiare nelle scuole missionarie, questo facilitò il trasmettersi delle patologie. In queste scuole, inoltre, fu vietato agli indigeni di parlare la propria lingua natia e la cultura dello yajé fu duramente repressa(230).
Più in generale, i Siona furono socialmente marginalizzati, senza essere tutelati da diritti civili: la loro comunità in pochi decenni si ridusse di due terzi rispetto agli anni precedenti il 1920.
Il complesso sciamanico Siona non resistette a questi stravolgimenti sociali. Pare che tra gli anni Cinquanta e Sessanta gli ultimi sciamani si impegnarono in una guerra interna che li sterminò tutti: una chiara conseguenza dell’instabilità socio-culturale determinata dalla colonizzazione. L’ultimo caposciamano morì nel 1960 e nel 1970 non c’era più nessuno in grado di amministrare i riti collettivi dello yajé, base del potere sacro e politico dello sciamano(231).
Il linguaggio, la cultura materiale, così come i riti indirizzati al mantenimento delle relazioni tra il mondo naturale e quello invisibile, stavano venendo abbandonati. I Siona vedevano come unica possibilità di sopravvivenza quella di integrarsi nella comunità meticcia.
Nel 1970 i discendenti degli sciamani della grande guerra parvero mostrare interesse verso l’apprendistato sciamanico. Essi abbandonarono però alcune pratiche indirizzate ad evitare le contaminazioni, come le proibizioni legate al ciclo mestruale e alla gravidanza. Certamente l’abbandono di pratiche tanto impegnative favorì l’avvicinamento dei giovani sciamani alla popolazione meticcia. Fu così che i curanderi(232) siona cominciarono ad officiare cerimonie dello yajé per le genti nonindigene.
Langdon, inizialmente, conduceva le proprie ricerche basandosi sulla corrispondenza tra spazio e cultura. Ciò la spinse a confinare la propria area di ricerca nella riserva siona di Buena Vista e a identificare i curanderi che si recavano nelle città circostanti come dei cultural broker. Ella non diede credito a questi individui, considerandoli fautori della depauperazione del patrimonio culturale indigeno(233). Lasciò il Putumayo nel 1974, predicendo la fine dello sciamanismo siona e l’assimilazione della comunità indigena nella società meticcia contadina. Al suo ritorno tra i Siona, nel 1980, ella trovò una situazione differente rispetto a ciò che le sue previsioni del 1974 prospettavano. Lo sciamanismo siona stava rinascendo proprio grazie ai cultural broker comparsi negli anni Settanta.
Questi si erano inseriti nella rete sciamanica colombiana e viaggiavano tra una città e l’altra officiando cerimonie dello yajé. Essi avevano incominciato a tenere cerimonie anche per i turisti, generando introiti importanti per la sopravvivenza della comunità indigena(234).
Negli anni Novanta la regione del Putumayo conobbe un vertiginoso accrescersi della violenza, in quanto divenne una delle zone di maggiore produzione di coca del Sudamerica(235). Le zone delle piantagioni erano teatro di guerra e periodicamente venivano fumigate con erbicidi dal Governo. Ciò portò molti Siona ad emigrare nelle città: i loro territori erano diventati praticamente invivibili, sia dal punto di vista sociale che ambientale.
Paradossalmente, in questo decennio l’identità etnica siona si riconsolidò, assieme al peso politico degli sciamani. Ciò fu possibile grazie all’azione politica dell’UMYAC(236), che portò al riconoscimento costituzionale dei diritti indigeni.

Come conseguenza, molte comunità meticce che avevano misconosciuto le proprie radici indigene, tornarono a dichiararle con orgoglio: la comunità siona crebbe notevolmente.
Gli sciamani furono abili nel favorire questo processo. La promozione della figura dell’indigeno-ecologico, protettore del proprio ambiente naturale, comportò l’accrescersi dell’attenzione, nazionale e internazionale, verso la questione indigena. Il Governo varò progetti di etno-educazione, mirati ad accrescere la consapevolezza e l’orgoglio indigeno verso la propria cultura. Questi progetti furono gestiti anche dagli sciamani, che tenevano workshop di giorno e cerimonie dello yajé di notte.

Concludendo, la rinascita dell’identità etnica siona, è stata possibile in primis grazie alle attività degli sciamani. Questi individui, aperti alle contaminazioni culturali tanto temute dagli antropologi, hanno diffuso e promosso le proprie pratiche, ottenendo come conseguenza un aumento dell’attenzione nazionale e internazionale verso la questione indigena. Il rito dello yajé, in particolare, con la sua carica di spiritualità ed esotismo, ha certamente funto da catalizzatore per questo processo.
Lo sciamanismo siona si è appropriato di tratti che non gli erano propri, come l’ideale rapporto armonioso tra indigeni e foresta, ma è stato proprio grazie a questo che è riuscito a sopravvivere. Ciò fa riflettere su quanto esplicato nella prima parte del paragrafo: lo sciamanismo non è un’entità monolitica e immutabile, bensì una manifestazione sociale fluida e multiforme, in grado di modificarsi internamente e modificare esternamente per restare al passo con i tempi. Nel prossimo paragrafo ci concentreremo su uno degli aspetti dello sciamanismo amazzonico contemporaneo: il turismo dell’ayahuasca/yajé.

Note:
212) Fotiou, Eugenia, “The Globalization of Ayahuasca Shamanism and the Erasure of Indigenous Shamanism”, Anthropology of Consciousness, Vol. 27, Issue 2, pp. 151-179, 2016.
213) Weritznig, Dagmar, Going Native or Going Naive? – White Shamanism and the Neo-Noble Savage, Lanham, MD: University Press of America, 2003.
214) Hamayon, Roberte, “ ’Ecstasy’ or the West-Dreamt Siberian Shaman”, in Tribal Epistemologies: Essays in The Philosophy of Anthropology, Helmut Wautischer, eds. pp.175-190, Brookfield: Ashgate, 1998.
215) Langdon, Esther Jean, “Shamans and Shamanism: reflections on Anthropological Dilemmas of Modernity”, Vibrant – Virtual Brazilian Anthropology, Vol. 4, Issue 2, pp. 27-48, 2007.
216) Taussig, Michael T., Shamanism, Colonialism, and the Wild Man: A Study in Terror and Healing, Chicago: University of Chicago Press, 1987.
217) Fotiou, Eugenia, “The Globalization of Ayahuasca Shamanism and the Erasure of Indigenous Shamanism”, Anthropology of Consciousness, op.cit., 2016.
218) Ivi.
219) Ivi.
220) Znameski, Andrei A., The Beauty of the Primitive: Shamanism and Western Imagination, Oxford, New York: Oxford University Press, 2007. 221) Fotiou, Eugenia, “The Globalization of Ayahuasca Shamanism and the Erasure of Indigenous Shamanism”, Anthropology of Consciousness, op.cit., 2016.
222) Weritznig, Dagmar, Going Native or Going Naive? – White Shamanism and the Neo-Noble Savage, Lanham, MD: University Press of America, 2003.
223) Harner, Michael, “The Sound of Rushing Water”, in Hallucinogens and Shamanism, Michael Harner, ed. pp. 15-27, New York: Oxford University Press.
224) Langdon, Esther Jean, “Shamans and Shamanism: reflections on Anthropological Dilemmas of Modernity”, Vibrant – Virtual Brazilian Anthropology, op.cit., 2007.
225) Regione confinante con il sud del Vaupés.
226) Come “curanderi”, nella Valle del Sibundoy si indicano sciamani Kamsa e Ingano che partecipano alla rete del curanderismo, costituita sia da individui indigeni che meticci. I curanderi vengono formati da sciamani Siona, Kofan e Ingano, nella foresta Amazzonica, mentre operano tra la pianura Amazzonia e la regione montuosa andina. Già negli anni Settanta persone non-indigene affluivano nel Sibundoy da grandi città come Bogotà, Cali, e Pasto. Nella Valle conducevano sessioni curative con i curanderi, nel tentativo di alleviare problemi che la normale scienza medica non era in grado di risolvere. Si veda: Langdon, Jean Esther, “The revitalization of Yajé Shamanism among the Siona: Strategies of Survival in Historical Context”, Anthropology of Consciousness, op.cit., 2016.
227) Langdon, Jean Esther, “The revitalization of Yajé Shamanism among the Siona: Strategies of Survival in Historical Context”, Anthropology of Consciousness, Vol. 27, Issue 2, pp. 180-203, 2016.
228) Brunelli, Gilo, “From shamanism to shamans: Tupi-Mondé strategies in the face of the surrounding society”, in Shamanism in Brazil: New perspectives, Esther Jean Langdon, ed. pp. 233-266, Floríanópolis: Editora UFSC, 1996.
229) Langdon, Jean Esther, “The revitalization of Yajé Shamanism among the Siona: Strategies of Survival in Historical Context”, Anthropology of Consciousness, op.cit., 2016.
230) Ivi.
231) Ivi.
232) In questo contesto è possibile utilizzare interscambiabilmente i termini “sciamano” e “curandero”, in quanto si riferiscono alle stesse personalità.
233) Langdon, Esther Jean, “Shamans and Shamanism: reflections on Anthropological Dilemmas of Modernity”, Vibrant – Virtual Brazilian Anthropology, op.cit., 2007.
234) Langdon, Jean Esther, “The revitalization of Yajé Shamanism among the Siona: Strategies of Survival in Historical Context”, Anthropology of Consciousness, op.cit., 2016.
235) La produzione di coca era diminuita in Bolivia e Perù a causa dell’intervento degli USA, quindi l’area produttiva s’era spostata in Colombia.
236) UMYAC: Unión de Médicos Indígenas Yageceros de Colombia. Fu fondata nel giugno del 1999 durante un incontro tra gli sciamani indigeni della regione, organizzato dalla NGO.

Re: La Costruzione Occidentale della Figura dello Sciamano

Inviato: mer mag 10, 2017 11:27 pm
da ~Møgørøs•
Articolo interessante, condivido appieno... Veramente, la cosa che più mi colpisce (e che avevo già letto da un'altra parte in passato) è che la popolazione indigena Siona accusava disgrazie, causate dalla scomparsa degli sciamani nelle loro terre. Può davvero essere possibile che ci siano individui che riescano a sorreggere una popolazione e un territorio con la propria alchimia?

Re: La Costruzione Occidentale della Figura dello Sciamano

Inviato: ven lug 07, 2017 11:24 am
da BeJake
Interessante riflessione. Effettivamente l'immagine che abbiamo noi dello sciamano e in generale delle altre culture rischia spesso di cadere nello stereotipo.
Vien da chiedersi se forse anche il mondo civilizzato non abbia bisogno di nuovi sciamani per risolvere alcuni problemi che sono alla base del costrutto culturale in cui siam immersi.