Quoto gli altri.
significati oggettivi che li attendono, che sono in serbo per loro, là fuori nel mondo, piuttosto che all’interno della propria psiche.
Oltretutto di quale oggettività stiamo parlando? La presunta "Oggettività del Fuori" è molto discutibile filosoficamente. Inoltre parlare di "significati là fuori" rivela una concezione a mio avviso molto semplicistica della nozione di significato. Io penso:
Significato è qualunque segnale che può essere rilevato dagli strumenti della nostra psiche. E la nostra psiche, al di là di ogni misticismo spiccio, è uno strumento che non rivela "la verità", sia essa esterna o interna, bensì dei pattern presenti all'interno della realtà esterna (volendo ammettere l'oggettività di questa, al di là delle nostre percezioni mutevoli).
In altre parole, se anche volessimo attenerci alla prospettiva materialistica di esistenza univoca del "mondo esterno a noi" (e diciamo che va bene), rimarrebbe l'evidente NON oggettività dello stesso.
Lo strumento-mente è in grado di recepire e riportare alla coscienza soltanto quei pattern, quelle estrapolazioni PARZIALI, quelle strutture SCHELETRICHE e SCHEMATICHE della realtà.
La selezione del messaggio/significato/segnale rispetto all'Altro, cioè al rumore di fondo della percezione, è una questione di utilità e usabilità biologica. È probabile che l'evoluzione ci abbia portati a sviluppare la percezione delle sole strutture che sono di facile ed immediata gestione per compiere azioni concrete di pura sopravvivenza, escludendo ogni altra complessità. E ciò non toglie l'esistenza di infinite altre strutture (interpretazioni) della "matrice", cioè della realtà esterna, qualunque cosa essa sia.
Non esistono significati oggettivi a mio avviso, a meno che essi non vengano stabiliti convenzionalmente a priori, come per le definizioni delle parole in un dizionario. Ma è evidente che in questo caso il significato, se pur "oggettivo", è del tutto arbitrario.
Questo non toglie che rifugiarsi nella psiche fuggendo il mondo esterno sia un comportamento patologico e sbagliato. È l'opposto della necessaria integrazione di ogni esperienza (si veda la mia firma).
Ma ancora una volta: questo comportamento è una resistenza agli effetti della sostanza. Chiudersi nei propri "sensi" interiori è un tentativo di resistere all'esperienza psichedelica, la quale per sua natura relativizza ogni cosa, "rivela i meccanismi della mente" (letteralmente psiche-delico) e porta a smascherare tanto l'oggettività del Fuori quanto quella del Dentro.
E inoltre, in definitiva, ribadisce l'importanza della soggettività, che non è una prospettiva limitante come certe scuole di pensiero predicano, ma, unita alla consapevolezza del relativo, è forse l'unica oggettività a cui possiamo ambire!