DDF 3
Inviato: mar lug 08, 2025 1:52 pm
In occasione del suo orale di maturità ho scoperto che mia figlia è stata violentata quando aveva 12 anni dal fidanzatino di allora. Il mondo mi è crollato addosso. Saputa questa cosa non ho potuto esprimere cosa provassi, dire qualcosa, protestare e sono tornato a casa a fare dei lavori al PC. Nella mia mente i pensieri correvano in tondo urlando di rabbia e di dolore. Sono andato a lavorare. Metà di me è morta. Ho passato tre giorni a lottare con gli impulsi di morte mentre queste urla fortissime mi rimbonbavano dentro.
Questa informazione rende più chiari i motivi dei problemi di mio figlio in questi anni e sulla possibilità che lui stia meglio lasciandosi dietro quella vicenda schifosa, violenta, terribile, sempre più lontana e degna solo di essere obnubilata.
Questo spiega forse il trattamento che mi è stato riservato: forse sentendo la sua sofferenza in terapia gli psicologi hanno creduto che fossi io l'autore della violenza o quello che non doveva saperne nulla, chissà. Il fatto è che vennero da me, da me! a vietarmi di vedere e parlare con mio figlio.
Io ho ricevuto il trattamento per il padre orco. Io che non ero neanche nella stessa città quando è successo.
Non posso essere accusato di leggerezza, negligenza. di non aver vigilato, di non aver visto o capito. Io non c'ero. Io ho pagato le conseguenze di un crimine altrui, di cui non sapevo nulla. Un trattamento che mi ha affondato nella depressione, con visioni, allucinazioni, desiderio di morte.
Ho attraversato plaghe di inferno a quattro zampe e ora scopro che devo pagare una colpa non mia. O la colpa di essere suo padre.
Nessuno potrebbe dire che non avrei capito, che avrei reagito male: ho volto la mia vita al dialogo, al perdono. La rabbia che provo non è di non aver potuto mettere un coltello nella panza di un piccolo stupratore, eventualità non del tutto da escludere, ma per essere stato esautorato dal mio amore per mia figlia, non averla potuta consolare, di non aver potuto fare tutto per lenire il suo dolore.
Eccola la mia colpa, ecco il mio crimine: scende giù dal soffitto mentre scrivo. Io non mi sono accorto, io non sono stato capace di vedere, di chiedere. Eppure quante volte mi sono proposto al dialogo, gli ho ripetuto che qualsiasi cosa succedesse doveva credere che io e sua madre saremmo stati dalla sua parte, pronti a ascoltare, a comprendere. Questa mia colpa l'ho pagata troppo cara. Non meritavo quelli che mi avere fatto. Sono stato abolito come padre, indegno di parlare, di essere amato. Mi è stato tolto il rapporto con mio figlio, tanto da essere informato dei suoi drammi insieme ai membri esterni di una qualunque commissione di esame. Sono ridotto a una nullità, quello che ha sposato sua madre.
Quanto ho pianto. Quanto mi sono dannato. Ora scopro che tutto dipende da colpe non mie e dalla decisione di farle pagare a me. La rabbia è così grande che calpesta anche l'istinto di morte e l'idea di ammazzarmi appare foriera di un esito patetico e inutile.
Ora le macerie del mondo mi pesano addosso e devo strisciare fuori. Dentro di me è buio e sento il sapore della polvere quando respiro. La vita mi sta sbattendo come un cencio contro il muro del dolore per vedere chi crolla per primo.
Essere padre è solo donarsi. Essere un uomo è combattere e soffrire. Quelli che provo è disumano. Adesso vado a lavoro, sorriderò, parlerò coi fornitori.
Dentri di me striscio sotto macerie tra urla fortissime di rabbia e di dolore
Che Dio mi aiuti
Questa informazione rende più chiari i motivi dei problemi di mio figlio in questi anni e sulla possibilità che lui stia meglio lasciandosi dietro quella vicenda schifosa, violenta, terribile, sempre più lontana e degna solo di essere obnubilata.
Questo spiega forse il trattamento che mi è stato riservato: forse sentendo la sua sofferenza in terapia gli psicologi hanno creduto che fossi io l'autore della violenza o quello che non doveva saperne nulla, chissà. Il fatto è che vennero da me, da me! a vietarmi di vedere e parlare con mio figlio.
Io ho ricevuto il trattamento per il padre orco. Io che non ero neanche nella stessa città quando è successo.
Non posso essere accusato di leggerezza, negligenza. di non aver vigilato, di non aver visto o capito. Io non c'ero. Io ho pagato le conseguenze di un crimine altrui, di cui non sapevo nulla. Un trattamento che mi ha affondato nella depressione, con visioni, allucinazioni, desiderio di morte.
Ho attraversato plaghe di inferno a quattro zampe e ora scopro che devo pagare una colpa non mia. O la colpa di essere suo padre.
Nessuno potrebbe dire che non avrei capito, che avrei reagito male: ho volto la mia vita al dialogo, al perdono. La rabbia che provo non è di non aver potuto mettere un coltello nella panza di un piccolo stupratore, eventualità non del tutto da escludere, ma per essere stato esautorato dal mio amore per mia figlia, non averla potuta consolare, di non aver potuto fare tutto per lenire il suo dolore.
Eccola la mia colpa, ecco il mio crimine: scende giù dal soffitto mentre scrivo. Io non mi sono accorto, io non sono stato capace di vedere, di chiedere. Eppure quante volte mi sono proposto al dialogo, gli ho ripetuto che qualsiasi cosa succedesse doveva credere che io e sua madre saremmo stati dalla sua parte, pronti a ascoltare, a comprendere. Questa mia colpa l'ho pagata troppo cara. Non meritavo quelli che mi avere fatto. Sono stato abolito come padre, indegno di parlare, di essere amato. Mi è stato tolto il rapporto con mio figlio, tanto da essere informato dei suoi drammi insieme ai membri esterni di una qualunque commissione di esame. Sono ridotto a una nullità, quello che ha sposato sua madre.
Quanto ho pianto. Quanto mi sono dannato. Ora scopro che tutto dipende da colpe non mie e dalla decisione di farle pagare a me. La rabbia è così grande che calpesta anche l'istinto di morte e l'idea di ammazzarmi appare foriera di un esito patetico e inutile.
Ora le macerie del mondo mi pesano addosso e devo strisciare fuori. Dentro di me è buio e sento il sapore della polvere quando respiro. La vita mi sta sbattendo come un cencio contro il muro del dolore per vedere chi crolla per primo.
Essere padre è solo donarsi. Essere un uomo è combattere e soffrire. Quelli che provo è disumano. Adesso vado a lavoro, sorriderò, parlerò coi fornitori.
Dentri di me striscio sotto macerie tra urla fortissime di rabbia e di dolore
Che Dio mi aiuti